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Gennaro Placco

poeta e patriota risorgimentale

Il 4 gennaio 1970 a Civita nasce un' Associazione Culturale per volontà di un gruppo di giovani, si decide di intitolarla a Gennaro Placco.

 

 

Nacque a Civita il 21 maggio 1826 da Ludovico e Maria Tudda.

Per compiere i suoi studi venne mandato nel collegio italo-abanese di San Demetrio Corone, dove incontrò molti di quei personaggi che sarebbero stati protagonisti della epopea rinascimentale.

Disattese le intenzioni dello zio prete don Domenico, il quale voleva che lui intraprendesse la carriera ecclesiastica : il suo temperamento ribelle ed avventuroso lo portò presto all'impegno politico. Si ricorda di lui la beata incoscienza giovanile, che spesso lo porta a subire le ritorsioni dei familiari delle ragazze, a cui portava provocanti serenate.

Aveva appena ventidue anni quando, accogliendo il proclama dei deputati casentini del 1848, combatté eroicamente a Campotenese e presso il Timpone di Sant'Angelo, dove ferito venne imprigionato.

Dopo un sommario processo a Cosenza venne condannato a morte dalla Suprema Corte Speciale nel 1850; la pena venne poi commutata in ergastolo.

Di carcere in carcere arrivò infine al bagno di Santo Stefano, dove nel 1851 giunse anche Luigi Settembrini.

Dopo qualche tempo Gennaro Placco ottenne di stare insieme nella stessa cella con Settembrini : nacque così una grande amicizia tra i due di cui testimoniano le pagine della maggiore opera (Le Ricordanze) del letterato napoletano.

“Un bel giovane (così Settembrini descriveva GennaroPlacco), una faccia greca, occhi scintillanti, parlante con una certa enfasi albanese, con l'erre come la pronunciava Alcibiade. L'anima sua odora di tutta la freschezza, l'inenuità, la spensieratezza, la candidezza di un fiorente giovinetto. Ingegno vivido e poetico, cuore caldissimo e saldo, amava la libertà e sentì che un ignota potenza gli sollevava il cuore e la mente. Egli è rozzo nelle maniere, anzi talora è selvatico, come albanese e montanaro; ma a me piace assai quella durezza, segno di animo saldo e maschio, quei deciso No e Si senza quella convulsione civile che chiamasi sorriso, senza quelle cortesi parole che sono da intonaco sopra un muro fracido; sotto quella dura scorza palpita un cuore nobile e generoso”.

 

 
 

 

Fece scalpore in paese, quando rifiutò di firmare per ben due volte la richiesta di grazia inoltrata dai genitori a Ferdinando di Borbone. Nel 1860 finalmente libero fu comandante di legione in Calabria con Garibaldi.

Non alberga nel cuore di Gennaro Placco il sentimento di vendetta; nel 1853 il fratello Luciano viene rapito e, pur dopo un riscatto pagato, viene ucciso. Dopo l'unità d'Italia il Re manda in Calabria il generale Fumel, come coordinatore della lotta contro il banditismo. Il generale viene a Civita ed è ospite di Gennaro Placco. Ha anche il compito di individuare e punire i rapitori di Luciano. I nomi di questi circolano tra la gente del posto. Sarebbe bastato che fossero confermati da Gennaro, che pure li conosceva, e il mattino successivo i banditi sarebbero penzolati dalle forche innalzate nella piazza del paese. Ma Gennaro Placco non conferma.

 

 
 

 

Egli fu sindaco negli anni 1861/62 e precisamente dal 25 novembre 1861 al 15 aprile 1862. Tra l'altro dispose le operazioni demaniali del Comune di Civita, agente demaniale Nicola Basta, agrimensore Gennaro Calmieri, indicatori Luigi Zuccaro, Tommaso D'Agostino e Vincenzo Gigliotti. In tale accurata e diligente operazione emergono le “usurpazioni” di territori da parte dei marchesi Serra di Cassano e del barone Compagna di Corigliano nelle contrade di Cernostasi e San Nicola e nel comune di Frascineto (parte della Fagosa e Bellizia).

Dopo una breve e sfortunata parentesi a Napoli dove svolse importanti incarichi in Polizia, negli anni 1870-71-73 fu ancora sindaco di Civita, disponendo importanti opere sociali, quali l'acquedotto e la fontana in piazza, la quale fa ancora bella vista di sé nella piazza centrale.

In seguito dovette emigrare in Argentina, da dove rientrò qualche anno dopo a Civita. Qui all'età di 64 anni scrive di sé : “vivo la vita dell'eremita, lontano dai pettegolezzi e dalle sozzure municipali”.

Ma non seppe tenervisi distante, perché dal 1890 al 1895, cioè fino a qualche mese prima della morte, fu ancora una volta sindaco dell'amata Civita.

Diversi messaggi e pensieri egli lasciò in vari testi poetici; tra questi si ricorda la delicata e sentita poesia intitolata “Vajtim”. Non si sbaglia ad affermare che in Gennaro Placco erano presenti i tratti caratteristici della stirpe arbëreshe con i geni di Skanderbeg.

Morì il 27 febbraio 1896 a Civita, il suo borgo natale.

 

 

Il 4 gennaio 1970 a Civita nasce un Associazione Culturale per volontà di un gruppo di giovani, si decide di intitolarla a Gennaro Placco.

 
     
     
     
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